Le banche non dicono tutto sui costi degli investimenti: il 75% è carente

Solo un intermediario su 5 illustra l’impatto degli oneri sulla redditività dei portafogli

Questo è il problema più grosso,

mancanza di informazioni al cliente, ma ben più grave la mancanza di specialisti veri in grado di saper trattare con rispetto i risparmi degli Italiani.

Cosa serve allora, serve una compagnia sana e di sani principi, che metta al primo posto le esigenze dei risparmiatori, dando loro il massimo rendimento possibile, senza in nessun modo mettere a rischio tali capitali e garantendoli già dal primo autografo che andranno a mettere sul proprio risparmio ideale.

Quindi serve, massima trasparenza da parte del consulente, che può dare solo se alle spalle ha una compagnia trasparente e in grado di amministrare grossi capitali di milioni di € dei suoi clienti.

PROBLEMA!

Come si denota da questo grafico, il servizio di consulenza è molto carente, per non parlare del servizio di gestione dei depositi!!

Come puoi aggirare questo ostacolo?

Molto semplice ti basta un oretta di tempo e un appuntamento, dopo di che conoscerai il miglior modo di accantonare quella piccola cifra che non ti sposta il tuo tenore di vita attuale, e allo stesso tempo ti darà il massimo rendimento possibile proprio come se fossi tu un esperto in finanza, e la bella notizia è che l’unico tuo compito sarà quello di conoscere per decidere…

Di tutto il resto, una volta conosciuto l’azienda e aver capito tutte le caratteristiche “Uniche in Italia”, se ne occuperà lei, tu semplicemente guarderai crescere il tuo capitale che ti servirà per aggirare l’indovinello pensione, vedi non uso più il termine problema perché?

Semplice il problema non si risolve l’indovinello si!!

E tu hai questo indovinello?

Se si lascia il tuo numero di telefono e mail ai miei contatti che trovi nel sito e verrai contattato nel più breve tempo possibile da me o un altro consulente per avere le informazioni che meriti di conoscere…

P.S. guarda il video correlato a questo articolo sulla mia pagina Facebook Vivere Liberi.

Ogni lavoratore, un pensionato: così il futuro peserà sui giovani

ECONOMIA > ECONOMIA E FINANZADomenica 22 Aprile 2018di Luca Cifoni

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 Lo scenario si manifesterà in tutta la sua chiarezza nel 2045: alla metà di quel decennio, gli italiani di 65 anni e più saranno un terzo della popolazione, ovvero tre ogni cinque persone in età lavorativa. Oggi il rapporto è di uno a tre. I demografi lo chiamano «indice di dipendenza degli anziani» e per convincersi che la definizione è azzeccata basta guardare un altro rapporto, quello tra numero delle pensioni e numero degli occupati: nello stesso periodo arriverà al 100 per cento: un trattamento previdenziale per ogni lavoratore, perché naturalmente non tutti coloro che sono tra 15 e 64 anni lavorano effettivamente. Insomma, il quadro proiettato nel futuro dall’Istat e dalla Ragioneria generale dello Stato non contiene buone notizie per chi oggi appartiene alla categoria dei giovani, che con qualche approssimazione può includere tutti i nati dal 1980 in poi. Non è solo il numero di anziani che dovranno caricarsi sulle spalle nei prossimi anni e decenni: già adesso è sotto gli occhi di tutti una situazione di squilibrio che si può leggere come un conflitto generazionale.APPROFONDIMENTI

L’INTERVISTA

Giuseppe De Rita (Censis): «Ma i ragazzi sono rassegnati,…

LE PROPOSTE DI LEGGE
Nella scorsa legislatura alla Camera dei Deputati erano state addirittura presentate due proposte di legge con l’obiettivo di inserire nella Costituzione il principio dell’equità intergenerazionale, aggiungendolo esplicitamente all’articolo 38 in cui si parla di previdenza e Stato sociale. I progetti non hanno fatto molta strada, e tuttavia possiedono una certa valenza simbolica.

Lo squilibrio attuale nasce naturalmente dalla demografia ma lo si può leggere facilmente anche nei dati sul lavoro. Il tasso di occupazione nella fascia di età che va dai 15 ai 39 anni è intorno al 48%, contro una media europea che si pone sopra al 62%. Il divario con il resto del Vecchio Continente esiste anche per i lavoratori più maturi, quelli che hanno tra 40 e 64 anni, ma è decisamente meno marcato (65% contro 72%). Il diverso destino delle generazioni appare però ancora più evidente se si guarda oltre che alla quantità alla qualità del lavoro. In Italia circa 2 milioni e 700 mila lavoratori dipendenti hanno un contratto a tempo determinato: oltre la metà di questi hanno meno di 35 anni. Nella fascia di età tra 15 e 34 anni i rapporti di lavoro a termine sono uno su due, in quella dai 35 ai 64 anni uno su dieci.

I CONTRATTI PRECARI
È una sproporzione che va ben al di là di un fisiologico percorso di ingresso nel mondo del lavoro: se si mettono nel conto anche le altre forme contrattuali atipiche al di fuori del lavoro dipendente si può tranquillamente concludere che i giovani si sono dovuti fare carico di una grandissima parte della flessibilità introdotta nel sistema da vent’anni a questa parte. Con conseguenze che si ripercuotono nei decenni futuri: le carriere lavorative discontinue di oggi, rischiano di diventare domani pensioni inadeguate, in un sistema contributivo (quello applicato in pieno a chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi) che tra l’altro non prevede più le attuali forme di tutela come l’integrazione al minimo. Senza dimenticare che la precarietà incide anche sulle cosiddette decisioni riproduttive, riducendo le nascite e spostando in avanti l’età a cui si ha il primo figlio; in questo modo si alimenta il corto circuito demografico. In realtà l’idea che la fascia più debole della popolazione coincida sostanzialmente con quella di età avanzata, con i pensionati insomma, per quanto ancora diffusa è ampiamente messa in discussione dai numeri. Ad esempio quelli recenti della Banca d’Italia, che nell’«Indagine sui bilanci delle famiglie» confronta la situazione del 2016 con quella di dieci anni prima. L’incidenza degli individui a rischio di povertà è cresciuta dal 19,6 al 22,9%, ma con andamenti differenziati: l’incremento è di 7 punti per i nuclei con capofamiglia fino a 35 anni e di oltre 11 fra 35 e 45 anni. Per contro, l’incidenza si riduce di 4,5 punti per gli ultrasessantacinquenni e di oltre 3 punti per la categoria dei pensionati.

RIFORME LENTE
Ovviamente, non tutti gli anziani pensionati sono benestanti e molti anzi sono certamente bisognosi; ma in media la categoria usufruisce di assegni che via via negli anni sono aumentati di importo, perché chi lasciava il lavoro poteva sfruttare la stabilità dei decenni in cui il posto fisso era la regola. Inoltre l’uscita dal lavoro, prima che le varie riforme dispiegassero tutti i propri effetti (e in misura minore anche dopo) è avvenuta relativamente presto. Negli anni Novanta l’età effettiva alla decorrenza della pensione era di 57-58 anni, oggi siamo a 63 ma questo indicatore è destinato a crescere. Di conseguenza si ridurrà o quanto meno non crescerà l’arco di vita in cui si beneficia dell’assegno previdenziale. Il paradosso è che in questo scenario welfare e fisco invece di accorciare le distanze le ampliano: l’Istat calcola che l’intervento pubblico complessivo (imposte, contributi e trasferimenti) aumenta il rischio di povertà dei giovani, dal 19,7% al 25,3% per la fascia 15-24 anni e dal 17,9% al 20,2% per quella 25-34 anni: vuol dire che nel gioco della redistribuzione queste generazioni risultano perdenti, soprattutto in prospettiva, ricevendo meno di quello che danno. È vero che, come ha ricordato recentemente anche l’Ufficio parlamentare di Bilancio, esiste anche il welfare informale, l’aiuto dato in varie forme ai giovani dalle famiglie di provenienza, particolarmente significativo in Italia; ma, nota lo stesso Upb, «se nell’immediatezza dalla crisi questa caratteristica delle famiglie e del sistema socio-economico italiano è stata utile a tamponare i casi di sofferenza, essa costituisce anche un fattore di debolezza». Perché gravitare intorno ai genitori e al loro luogo di residenza può, ad esempio, limitare seriamente l’autonomia e la mobilità e quindi ridurre ulteriormente le possibilità di trovare un lavoro soddisfacente.
(1-continua)Ultimo aggiornamento: 23 Aprile, 10:32